Category: 2 – ARGOMENTI
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – APPELLO – Questione di giurisdizione – Sollevata per la prima volta in secondo grado da parte di chi in primo grado aveva sostenuto la giurisdizione amministrativa – Abuso del diritto – Dubbio – Deferimento all’Adunanza plenaria – CGA ordinanza 22.10.2015 n. 634, Pres. De Lipsis, est. Anastasi.
Il CGA ipotizza che il mezzo col quale l’appellante incidentale – dopo aver in primo grado affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa – deduce invece che la controversia all’esame è devoluta alla giurisdizione del giudice civile sarebbe da ritenere ammissibile e pertanto deferisce la questione all’Adunanza plenaria.
_________________
Motivazione.
5. Come è noto, l’applicazione ad opera della giurisprudenza dell’art. 37 cod. proc. civ. ( secondo cui il difetto di giurisdizione è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo) ha subito nel tempo una profonda evoluzione in senso sostanzialmente restrittivo.
In tal senso, la Corte regolatrice fino dalla metà degli anni settanta ha rilevato la necessità di coordinare i principi sulla rilevabilità d'ufficio del difetto di giurisdizione con quelli che disciplinano il sistema delle impugnazioni statuendo che, ove il giudice di primo grado abbia espressamente statuito sulla giurisdizione, il riesame della questione da parte del giudice di secondo grado postula che essa sia riproposta con il mezzo di gravame ostandovi, altrimenti, la formazione del giudicato interno. ( ad es. SS.UU. n. 1506 del 1976).
Successivamente la stessa Suprema Corte è pervenuta ad escludere il rilievo d’ufficio del difetto di giurisdizione da parte del giudice dell’impugnazione quando il giudice di primo grado abbia statuito in forma implicita sulla giurisdizione attraverso l'adozione di una pronuncia di merito o di carattere processuale che non avrebbe, però, potuto essere adottata se non da un organo provvisto di potestà giurisdizionale. ( ad es. SS.UU. n. 24883 del 2008).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, per parte sua, sembra aver seguito sull’argomento un percorso differente.
In particolare – a prescindere da quegli indirizzi che sino ad epoca non lontana hanno privilegiato una interpretazione letterale dell’art. 37 cod. proc. civ. e della corrispondente norma contenuta nell’art 30 comma 1 della legge n. 1034 del 1971: cfr ad es. V Sez. n. 8083 del 2004 – negli orientamenti maggioritari la regola degli effetti preclusivi derivanti dal giudicato implicito sulla giurisdizione ha stentato ad essere condivisa. ( cfr. per tutte V Sez. n. 5479 del 2008).
Come è noto, la questione è stata poi positivamente risolta con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo il cui art. 9 comma 1 prevede che “ Il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio. Nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della sentenza impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione”.
Come è evidente, il percorso evolutivo di cui si è dato sinteticamente conto ha portato a prevalere – rispetto all’originaria idea della giurisdizione come espressione inderogabile della sovranità statale – i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (asse portante della nuova lettura della norma), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell'affievolirsi dell'idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. ( cfr. in tal senso SS.UU. n. 28545 del 2008).
6. In analoga prospettiva si è da ultimo affermato, nell’ambito della giurisprudenza del Consiglio di Stato, un ormai maggioritario orientamento in sostanza volto a stigmatizzare l’utilizzo potenzialmente strumentale delle questioni di giurisdizione.
In proposito è stato chiarito che il divieto di abuso del diritto, in quanto espressione di un principio generale che si riallaccia al canone costituzionale di solidarietà, si applica anche in ambito processuale, con la conseguenza che ogni soggetto di diritto non può esercitare un'azione con modalità tali da implicare un aggravio della sfera della controparte, sì che diviene anche divieto di abuso del processo; pertanto, integra abuso del processo la contestazione della giurisdizione da parte del soggetto che abbia optato per quella giurisdizione e che, pur se soccombente nel merito, sia risultato vittorioso, in forza di una pronuncia esplicita o di una statuizione implicita, proprio sulla questione della giurisdizione, con la conseguenza che in definitiva, la sollevazione della detta auto-eccezione in sede di appello, per un verso, integra trasgressione del divieto di venire contra factum proprium (paralizzabile con l'exceptio doli generalis seu presentis) e, per altro verso, arreca un irragionevole sacrificio alla controparte, costretta a difendersi nell'ambito del giudizio da incardinare innanzi al nuovo giudice in ipotesi provvisto di giurisdizione, adito secondo le regole in tema di translatio iudicii dettate dall'art. 11 Cod. proc. amm. ( così V Sez. n. 656 del 2012. Cfr. anche VI Sez. n. 1537 del 2011, VI Sez. n. 703 del 2013, III Sez. n. 1630 del 2014, V Sez. n. 1605 del 2015 e VI Sez. n. 1778 del 2015).
Al riguardo il Collegio osserva che tale impostazione ( benchè elaborata in relazione alla posizione del ricorrente principale) si attaglia anche al caso qui in esame in cui il ricorrente incidentale, in primo grado, ha affermato la sussistenza di quella giurisdizione amministrativa che ora, in appello, tra l’altro dopo essere risultato vincitore nel merito, nega venendo appunto contro il fatto proprio.
In sostanza, applicando il richiamato orientamento, anche il ricorrente incidentale – nella misura in cui sceglie di articolare domande ( art. 42 cod. proc. amm.) di accertamento pregiudiziale volte comunque ad ottenere una pronuncia che precluda l'esame del merito del ricorso principale – incorre in un abuso se non versa lealmente e da subito l'intero arco delle eccezioni in grado di paralizzare l'iniziativa avversaria.
Tanto premesso, il Collegio osserva tuttavia in radice che l’impostazione di cui si è detto, ancorchè mossa da criteri ispiratori del tutto condivisibili, non sembra in realtà praticabile alla luce delle considerazioni che seguono.
In primo luogo, occorre chiarire che, diversamente da come sembra sostenere l’appellante, la deduzione per la prima volta in appello della questione di giurisdizione non costituisce una novità vietata – di per sè – dalla legge processuale.
Infatti quando l’art. 345 secondo comma cod. proc. civ. e l’art. 104 cod. proc. amm. vietano di proporre in appello eccezioni nuove rispetto a quelle versate in primo grado il riferimento è alle eccezioni c.d. in senso proprio e stretto, e cioè alle eccezioni (tra l’altro, di merito) che possono essere proposte solo dalle parti al fine di contrastare la domanda avversaria mediante l’allegazione di fatti impeditivi modificativi o estintivi.
Dal momento che invece il difetto di giurisdizione in primo grado è rilevabile d’ufficio, ne consegue – sotto lo specifico profilo ora in rassegna – che non viola il divieto di novità la parte la quale impugni la sentenza di primo grado per il difetto di giurisdizione, ancorchè non lo abbia appunto “eccepito” in prime cure.
Tanto premesso sul piano per così dire tecnico e venendo al tema nodale, non sembra che la nozione di abuso del diritto in sede processuale possa essere ricostruita partendo dalla violazione del dovere generale – che l’art. 88 comma primo cod. proc. civ. impone alle parti e ai loro difensori – di comportarsi in giudizio con lealtà e probità.
La violazione di questo preciso dovere giuridico al rispetto delle regole del gioco infatti può dare luogo soltanto a sanzioni ( ad es. non rimborso spese superflue: art. 92 cod. proc. civ.) o a valutazioni negative del comportamento tenuto dalle parti ( ad es. art. 116 secondo comma) ma non alla nullità/inammissibilità di atti di parte conformi allo schema processuale.
In realtà, in sede processuale il vero caso in cui l’abuso del diritto ( e cioè secondo la migliore dottrina l’agire perseguendo uno scopo diverso dalla funzione obiettiva per la quale la legge ha configurato l’istituto) è espressamente disciplinato è quello della lite temeraria ex art. 96 cod. proc. civ., sanzionata ( in sintesi) imponendo al soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave l’integrale risarcimento dei danni subiti dalla controparte.
Ora – anche a prescindere dal fatto che le norme in questione danno luogo soltanto a responsabilità risarcitoria aggravata – appare evidente da un lato che ex art. 96 la soccombenza è presupposto essenziale della responsabilità aggravata, la quale non può essere mai pronunciata a carico della parte vittoriosa; dall’altro che conseguentemente l’eventuale abuso nel disegno codicistico non può ontologicamente essere sanzionato ex ante con la declaratoria di inammissibilità della relativa domanda.
In realtà dunque un abuso del processo ( ostativo all’esame della domanda) non può essere configurato sulla base delle norme di rito, bensì soltanto proiettando sul campo processuale quelle regole contrattuali di buona fede e correttezza in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. siccome tendenti a comprendere nella funzione del rapporto obbligatorio pure la tutela della controparte, nel perseguimento di un giusto equilibrio tra gli opposti interessi. ( cfr. SS.UU. n. 23726 del 2007 in tema di frazionamento di un credito unitario nonchè ad es. III Sez. n. 8576 del 2013 in tema di frazionamento dell’esecuzione).
Ma, chiaramente, nel caso delle questioni in esame non sembra potersi predicare l’estensione dell’operatività di un principio di buona fede sostanziale e negoziale.
Il vero è, in conclusione, che nel diritto positivo l’unico caso in cui la questione di giurisdizione può ritenersi preclusa e’ il caso in cui sulla stessa si sia formato il giudicato implicito o esplicito.
Ne consegue – come insegna la Suprema Corte – che qualora chi agisce in giudizio, dopo avere adito un giudice, ne eccepisca in appello il difetto di giurisdizione, e’ legittimato a farlo; infatti, tale eccezione non può ritenersi preclusa per carenza di interesse per il solo fatto di avere adito un giudice, che lo stesso attore ritiene successivamente privo di giurisdizione, atteso che una simile decisione si porrebbe in contrasto con il fondamentale principio di cui all’art. 25 Cost., secondo cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.” ( cfr. SS.UU. n. 26129 del 2010).
Ancor più recisamente la Corte nega che “a rendere non conoscibile la questione di giurisdizione, sia predicabile – accanto al sistema della preclusione per mancata deduzione con appello (anche incidentale) – l'operatività di una clausola di divieto di "abuso" ostativa alla denunzia per chi abbia adito il giudice la cui giurisdizione vorrebbe poi contestare. Queste Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato che sia proponibile la questione di (difetto di) giurisdizione (del giudice amministrativo) – sollevata in sede di impugnazione della decisione del TAR – anche da parte di chi abbia invocato la giurisdizione di quel giudice amministrativo e poi sia risultato, nel merito, soccombente in esito a quel giudizio, posto che l'unica preclusione configurabile alla stregua del vigente quadro normativo, ed esplicitata nell'art. 9 del vigente C.P.A., è quella derivante dalla formazione del giudicato implicito nella non impugnata decisione di merito” ( così SS.UU. n. 1006 del 2014. Cfr. pure SS.UU. n. 7097 del 2011 e n. 1006 del 2014).
Alla stregua di quanto sin qui osservato il Collegio ritiene che il mezzo col quale l’appellante incidentale – dopo aver in primo grado affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa – deduce invece oggi che la controversia all’esame è devoluta alla giurisdizione del giudice civile sarebbe da ritenere ammissibile.
Visto il possibile insorgere di un contrasto giurisprudenziale, l’esame della relativa questione è deferito all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99 cod. proc. amm..
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – ESECUZIONE DEL GIUDICATO – Astreintes e crediti pecuniari – Tar Catania, II, ordinanza, 23.11.2015 n. 2725 – Pres. Vinciguerra, est. Leggio.
La corresponsione delle c.d. “astreintes” è esclusa in presenza di difficoltà dell’adempimento collegata a vincoli normativi o di bilancio e comunque è possibile per l’inadempimento degli obblighi di fare infungibili e non per l’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie.
__________
Motivazione.
Ritenuto, invece, che non può accogliersi la domanda di corresponsione delle c.d. “astreintes”, posto che si ritengono sussistenti, nel caso di specie, quelle “altre ragioni ostative” previste dall’art. 114, co. 4, lett. e, del c.p.a., che si oppongono all’applicazione concreta dell’istituto, da ravvisare nella difficoltà dell’adempimento collegata a vincoli normativi e di bilancio (sul punto v. A.P. n. 15/2014, nonché TAR Napoli n. 6797/2014, TAR Catania n. 628/15 e n. 2487/2014);
Ritenuto inoltre che, poiché l’“astreinte” costituisce un mezzo di coazione indiretta sul debitore, necessario in particolare quando si è in presenza di obblighi di fare infungibili, non appare equo condannare l’Amministrazione al pagamento di ulteriori somme di denaro, quando l’obbligo di cui si chiede l’adempimento costituisce, esso stesso, adempimento di un’obbligazione pecuniaria, dovendo considerarsi che, in tal caso, per il ritardo nell’adempimento sono già previsti dalla legge gli interessi legali, ai quali, pertanto, la somma dovuta a titolo di “astreinte” andrebbe ad aggiungersi, con effetti iniqui di indebito arricchimento per il creditore.
P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda) respinge la richiesta dei ricorrenti di fissazione di una somma di denaro, ai sensi dell’art. 114, quarto comma, lett. e), per l’ulteriore ritardo nell’esecuzione del giudicato;
Link
NOTIFICA VIA PEC – Nel giudizio amministrativo.
Con una recentissima sentenza Il CGA ritiene valida la notifica via PEC nel giudizio amministrativo.
GIURISDIZIONE – Esula dalla giurisdizione del G.A. in sede di ottemperanza il sindacato incidentale sulla efficacia ai fini della sospensione delle procedure esecutive di una delibera di approvazione tardiva di un piano di riequilibrio pluriennale
TAR Catania, sez. I, Ordinanza 8 luglio 2015 n. 1860
Processo amministrativo – Esecuzione del giudicato – Delibera di adozione piano di riequilibrio. Interruzione del giudizio.
Processo amministrativo – Approvazione piano di riequilibrio da parte della Corte dei conti – Prosecuzione giudizio ex art. 80, cpc –
L’avvenuta adozione della delibera di approvazione del piano di riequilibrio finanziario determina la sospensione delle azioni esecutive, ivi compresa l’attività del Commissario ad acta già insediato; fermo restando che intervenuta la decisione della Corte dei Conti di approvazione del piano di riequilibrio, o di rigetto del medesimo, il Comune dovrà senza indugio inviare alla Segreteria del TAR formale comunicazione, al fine della ripresa della procedura di esecuzione del giudicato.
La Segreteria, ai sensi dell’articolo 80, comma 1, cod. proc. amm., darà avviso alle parti ed il giudizio proseguirà dietro istanza di fissazione dell’udienza, da presentarsi, a cura della parte più diligente, entro novanta giorni dalla ricezione di detto avviso.
Nota: Con l'ordinanza riportata (n. 1860/2015) il T.A.R. Sicilia, Sez. Catania, nega che il giudice dell'ottemperanza, richiesto di chiarimenti da parte del Commissario ad acta ex art. 114 c.p.a., possa conoscere della perdurante efficacia o meno della sospensione delle procedure esecutive ex art. 243 bis, co. 4, D.Lgs. n. 267/2000, successiva al diniego di approvazione di un piano di riequilibrio pluriennale e, quindi, alla sua approvazione, in difetto peraltro di alcun riavvio del procedimento e, comunque, posteriormente al decorso dei termini perentori previsti dall'art. 243 bis, co. 5, D.Lgs. n. 267/2000.
N. 01860/2015 REG.PROV.COLL.
N. 02368/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 2368 del 2013, proposto da:
***., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Stornello, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Catania, Via Centuripe 11;
contro
Comune di Pozzallo, non costituito in giudizio;
per l'esecuzione
del giudicato formatosi sull’ordinanza di assegnazione somme, emessa dal G.E. del Tribunale di Modica in data 10.05.2012 nella procedura esecutiva mobiliare presso terzi n. 43/2012 R.G. Esec.;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2015 il dott. Francesco Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Vista la sentenza n. 1497/2014, emessa da questa Sezione per l’esecuzione del giudicato in epigrafe, con la quale è stato nominato Commissario ad acta il dott. Cosimo Costa;
Considerato che il Commissario si è insediato ed ha poi chiesto chiarimenti circa il suo mandato, in relazione alla sopravvenuta adozione della delibera consiliare n. 50 del 24.07.2014 con la quale il Comune di Pozzallo ha fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ex art. 243 bis del D. Lgs. 267/2000;
Vista la successiva ordinanza n. 55/2015 del 18 dicembre 2014, con la quale questa Sezione ha fornito chiarimenti, concedendo al Commissario una proroga per la prosecuzione dell’incarico, stante la mancata approvazione – allo stato – della procedura di riequilibrio, salvi gli effetti della sopravvenienza dello stato di dissesto ex artt. 244 e ss. del D. Lgs. 267/2000;
Vista la successiva nota del Commissario ad acta, depositata in giudizio in data 2 aprile 2015, con la quale: i) si segnala, nelle more, l’avvenuta approvazione del piano di riequilibrio finanziario da parte del Comune di Pozzallo, effettuata con delibera consiliare n. 119 del 30.12.2014 (dunque, successiva alla camera di consiglio nella quale è stata adottata l’ordinanza collegiale n. 55/2015, ma antecedente alla pubblicazione di quest’ultima); ii)si chiede se il nuovo provvedimento di approvazione del piano determini la sospensione ex lege delle procedure esecutive (e conseguentemente, dell’azione commissariale), come previsto dall’art. 243 bis, co. 4; ovvero se tale effetto sospensivo debba ritenersi non operante in considerazione del fatto che la delibera di approvazione del piano (n. 119/2014 del 30.12.2014) è intervenuta oltre il termine di 90 giorni previsto dalla legge (art. 243 bis, co. 5), decorrente dalla data di esecutività della delibera di ricorso alla procedura di riequilibrio (ossia dall’11.08.2014);
Vista la memoria difensiva prodotta da parte ricorrente in data 28 aprile 2015, laddove (i) si asserisce che spetta al giudice amministrativo – quale giudice dell’ottemperanza (e non alla Corte dei conti, come dedotto in una nota del Comune) – la giurisdizione in ordine alla valutazione di tutte le questioni relative all’ottemperanza, ivi inclusa quella concernente la efficacia e tempestività della delibera consiliare n. 119/2014 di approvazione del piano; (ii) si esclude che l’adozione di quest’ultima delibera possa determinare la sospensione di tutte le procedura esecutive avviate nei confronti dell’ente, in quanto si tratta appunto di delibera tardiva, adottata al di là del termine legale di 90 giorni dalla decisione di avvio della procedura di riequilibrio;
Considerato che, invero, come correttamente dedotto da parte ricorrente, “La mancata presentazione del piano entro il termine di cui all'articolo 243-bis, comma 5, (ossia, entro i citati 90 gg., N.D.R.) il diniego dell'approvazione del piano, l’accertamento da parte della competente Sezione regionale della Corte dei conti di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano, ovvero il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario dell'ente al termine del periodo di durata del piano stesso, (…)” aprono le porte del dissesto per l’ente locale interessato (v. art. 243 quater, co. 7);
Ritenuto, tuttavia, che le conclusioni dedotte dalla ricorrente quale conseguenza dell’applicazione della predetta norma non possono essere condivise, in quanto:
a) la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale si svolge sotto la direzione e vigilanza della Corte dei conti e dell’apposita Commissione istituita presso il Ministero dell’interno;
b) la Corte dei conti, sezione regionale di controllo, ai sensi dell’art. 243 quater, co. 3, “delibera sull'approvazione o sul diniego del piano, valutandone la congruenza ai fini del riequilibrio”;
c) “La delibera di approvazione o di diniego del piano puo' essere impugnata entro 30 giorni, nelle forme del giudizio ad istanza di parte, innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione che si pronunciano, nell'esercizio della propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilita' pubblica, ai sensi dell'articolo 103, secondo comma, della Costituzione” (art. 243 quater, co. 5);
Ritenuto, quindi, che le riportate norme dimostrano una precisa volontà del legislatore di assegnare alla sezione di controllo della Corte dei conti il ruolo di dominus della procedura, assegnando ad essa sia il compito di approvare il piano di riequilibrio, sia (rectius, alle sezioni riunite) anche le funzioni giurisdizionali sul provvedimento di rigetto del piano, con il conseguente difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (ordinario) a conoscere di tale impugnativa;
Ritenuto, altresì, che l’eventuale valutazione – anche in via incidentale – ad opera di questo giudice sulla tempestività o meno della delibera di accesso alla procedura di riequilibrio votata dal Consiglio comunale implicherebbe una pronuncia su poteri non ancora esercitati (dalla sezione di controllo della Corte dei conti), in violazione del divieto contenuto nell’art. 34, co. 2, c.p.a.;
Considerato che, a quanto fin qui esposto, va aggiunto che in base alla stessa legge (art. 243 quater, co. 5) “Fino alla scadenza del termine per impugnare e, nel caso di presentazione del ricorso, sino alla relativa decisione, le procedure esecutive intraprese nei confronti dell'ente sono sospese.”, con la conseguenza che è possibile individuare un regime continuativo di sospensione di tutte le azioni esecutive nei confronti dell’ente, che prende avvio al momento della adozione della delibera di accesso alla procedura di riequilibrio (v. art. 243 bis, co. 4) e si estingue (se vi è impugnazione) solo dopo la conclusione del giudizio avviato contro la delibera di rigetto del piano;
Ritenuto, in base all’ultima considerazione rassegnata, che non è possibile ipotizzare (come prospettato dalla ricorrente) che l’eventuale approvazione tardiva del piano di riequilibrio da parte dell’ente locale possa far riemergere le procedure esecutive poste in stato di sospensione, anche perché tale conclusione sarebbe in netto contrasto con l’avvio della procedura di dissesto che consegue alla mancata approvazione del piano;
Ritenuto, in sintesi, che l’avvenuta adozione della delibera n. 119/2014 determina la sospensione delle azioni esecutive, ivi compresa la presente, e, nella fattispecie, dell’azione del Commissario ad acta già insediato;
Considerato, quindi, che una volta che la Corte dei Conti avrà approvato il piano di riequilibrio, o ne avrà negata l’approvazione, il Comune dovrà senza indugio inviare a questa Sezione formale comunicazione di tale circostanza, al fine della ripresa della procedura di esecuzione del giudicato di cui sopra.
La Segreteria darà avviso di ciò alle parti ed il giudizio proseguirà dietro istanza di fissazione dell’udienza, da presentarsi, a cura della parte più diligente, entro novanta giorni dalla ricezione di detto avviso, ai sensi dell’articolo 80, comma 1, cod. proc. amm.;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima), dichiara la sospensione del giudizio fino alla data di approvazione o di diniego di approvazione del suindicato piano di riequilibrio pluriennale di cui all’articolo 243 quater, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 267/2000, onerando il Comune intimato di trasmettere alla Segreteria di questa Sezione il provvedimento di approvazione o di diniego di approvazione del piano di riequilibrio pluriennale, che sarà adottato dalla Corte dei Conti.
Dispone che il Commissario ad acta sospenda ogni intervento.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Veneziano, Presidente
Francesco Bruno, Consigliere, Estensore
Eleonora Monica, Referendario
L'ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/07/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
GIURISDIZIONE – Se il buono contributo per la ricostruzione di fabbricati colpiti da eventi calamitosi dipende da un errato inquadramento dell’intervento edilizio secondo la IV^ sezione del TAR Catania la giurisdizione è del G.O.
Segnalo l'ordinanza cautelare , con cui il TAR Catania – sezione IV^ – ha declinato la giurisdizione del G.A. in favore di quella del G.O. in una controversia relativa a rilascio di concessione edilizia con buono contributo pro terremotati, nonostante si facesse questione di un errato inquadramento urbanistico dell'intervento edilizio proposto – ristrutturazione edilizia attraverso demolizione e ricostruzione del fabbricato con fedele sagoma e volume – ritenuto dal Comune non compreso tra quelli previsti dall'art. 2 dell'O.P.C.M. 2212/FPC del 3.2.1992 (terremoto del 13/16 dicembre 1990 Sicilia Orientale)