Il ruolo dell’ANAC e dei Prefetti nella prosecuzione del rapporto contrattuale dell’impresa oggetto di interdittiva antimafia o degli ammimistratori imputati di reati corruttivi – Relazione del Presidente del TAR Calabria Avv. Vincenzo Salamone
Vincenzo Salamone
Presidente del Tribunale amministrativo regionale
della Calabria.
Il ruolo dell’ANAC e dei Prefetti nella prosecuzione del rapporto contrattuale dell’impresa oggetto di interdittiva antimafia o degli ammimistratori imputati di reati corruttivi.
La relazione ha ad oggetto l’applicazione delle norme contenute all’articolo 32 del decreto legge 24 giugno 2014 numero 90, convertito dalla legge l1 agosto 2014 numero 114, che contiene misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrati e per l’efficienza degli uffici giudiziari
La norma è evidentemente finalizzata a consentire la realizzazione nei tempi programmati delle opere indispensabili per la manifestazione Expo 2015.
Ciò a seguito di una serie di inchieste penali che avevano sostanzialmente accertato, anche a seguito delle ammissioni di alcuni imprenditori, che alcune opere pubbliche erano state affidate con procedure concorsuali nelle quali erano stati commessi reati di corruzione.
A fronte del rischio di risolvere i contratti e di procedere a nuovi affidamenti, che avrebbero inevitabilmente allungato i tempi di realizzazione delle opere con il rischio di compromettere la manifestazione, il Governo optò per l’introduzione di un modello organizzativo che da un lato consentiva la prosecuzione delle opere da parte delle imprese, dall’altro sottoponeva le predette imprese ad amministrazione straordinaria, quanto meno con riguardo alle attività contrattuali oggetto di indagini penali anche per i sospetti di alterazione delle procedure di affidamento e comunque di gestione delle opere stesse.
A questa specifica ipotesi se ne accompagna un’altra, per certi versi più complessa, che riguarda le imprese raggiunte da interdittive antimafia e che, sulla base della normativa oggi vigente avrebbe obbligato le amministrazioni appaltanti a risolvere i contratti…
Si tratta di una: normativa dai caratteri emergenziali che attribuisce poteri extra ordinem ripartiti tra l’Autorità nazionale anticorruzione e l’Amministrazione dell’Interno, e segnatamente i prefetti.
La ratio legis di tali misure consiste, pertanto, nel garantire che, in presenza di fatti che abbiano determinato discostamenti rispetto agli standard di legalità e correttezza nella procedura di aggiudicazione, l’esecuzione del contratto pubblico non ne sia pregiudicata, senza, purtuttavia, che quest’ultima esigenza si traduca in un vantaggio per l’autore dei fatti criminali consentendogli, dopo essersi aggiudicato illecitamente l’appalto, di conseguire il profitto del proprio illecito.
L’intervento del potere pubblico nei confronti dell’organizzazione e dell’attività degli operatori economici privati, qualificato di per sé come straordinario, è perciò volto unicamente alla tutela dell’integrità delle risorse pubbliche conferite in costanza del contratto pubblico, ed è perciò necessariamente limitato temporalmente all’esecuzione dello stesso, così da non ledere più del necessario il principio costituzionale dell’autonomia d’impresa (art. 41 della Costituzione).:
Il nuovo istituto del “commissariamento” dell’impresa si colloca, quindi, tra gli strumenti di diritto amministrativo tramite cui si realizza un intervento pubblico nell’attività d’impresa, per esigenze di tutela di interessi sociali rilevanti o come misura di contrasto all’economia della criminalità organizzata.
All’interno della disciplina di responsabilità giuridica degli enti era d’altronde già prevista la possibilità che, a seguito di emissione di misura interdittiva conseguente alla condanna penale, fosse nominato un commissario giudiziale che presiedesse alla gestione dell’impresa (articolo 15 decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231).
La disciplina del commissariamento d’impresa per fatti di corruzione opera, invece, medio tempore, in assenza di un accertamento giudiziale, sulla base delle sole valutazioni delle autorità amministrative coinvolte, risultando, pertanto, particolarmente utile nella prospettiva di contrasto in via amministrativa e preventiva della corruzione.
L’intento è quello di ripercorrere gli istituti giuridici introdotti dalla predetta normativa, anche al fine di individuare un momento di raccordo con il complesso sistema delle procedure di affidamento di realizzazione delle opere pubbliche, ma non solo, in quanto la normativa predetta trova applicazione anche per altre fattispecie contrattuali o attinenti alla concessione di servizi pubblici, in un particolare momento; quello nel quale
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il Parlamento ed il Governo hanno introdotto norme di sistema fortemente innovative sul piano della disciplina dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione, e mi riferisco in particolar modo alla disciplina contenuta. nel decreto legislativo n. 50 del 2016, meglio noto come codice dei contratti della pubblica amministrazione.
I presupposti per le misure straordinarie
L’art. 32 del decreto-legge n. 90/2014 ha attribuito al Presidente dell’ANAC il potere di richiedere al Prefetto l’adozione di misure dirette ad incidere sui poteri di amministrazione e gestione dell’impresa coinvolta in procedimenti penali per gravi reati contro la pubblica amministrazione o nei cui confronti emergano situazioni di anomalia sintomatiche di condotte illecite o criminali.
Come già accennato la ratio dell’intervento legislativo appare rivolta al principale obiettivo di far sì che, in presenza di gravi fatti o di gravi elementi sintomatici, che hanno, rispettivamente, o già determinato ricadute penali o sono comunque suscettibili di palesare significativi e gravi discostamenti rispetto agli standard di legalità e correttezza, l’esecuzione del contratto pubblico non venga a soffrire di tale situazione.
La prioritaria istanza a cui ha corrisposto il legislatore è quella di porre rimedio all’affievolimento dell’efficacia dei presidi legalitari da cui appaiono afflitte le procedure contrattuali, senza che ne risentano i tempi di esecuzione della commessa pubblica, finendo col coniugare, dunque, entrambe le esigenze.
Ipotesi A.
La misura che viene attivata dall’ANAC è finalizzata a garantire la continuità dell’esecuzione del contratto pubblico (del singolo contratto e non della complessiva attività di impresa) nei tempi previsti.
L’impresa viene raggiunta dalla misura strumentalmente a questo scopo, come dimostrano le espressioni letterali contenute nelle lettere a) e b) del comma 1, laddove l’intervento sull’impresa appaltatrice è sempre disposto «limitatamente alla completa esecuzione del contratto d’appalto»; sicché l’intervento legislativo si configura per quest’aspetto effettivamente come una misura ad contractum.
Le circostanze suscettibili di dare luogo ai provvedimenti amministrativi di cui all’art. 32, collima 1, del citato decreto-legge n. 90/2014 debbono essere individuate in fatti riconducibili:
– a reati contro la pubblica amministrazione, – nel caso in cui l’Autorità giudiziaria proceda per i delitti – previsti dal codice penale – di concussione (articolo 317), corruzione per l’esercizio della funzione (articolo 318), corruzione semplice e aggravata per atto contrario ai doveri d’ufficio (articoli 319 e 319-bis), corruzione in atti giudiziari (articolo 319-ter), induzione indebita a dare o promettere utilità (articolo 319-quater), corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (articolo 320), istigazione alla corruzione (articolo 322), peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri (articolo 322-bis), traffico di influenze illecite (articolo 346- bis), turbata libertà degli incanti (articolo 353) e del procedimento di scelta del contraente (articolo 353-bis);
– a vicende e situazioni che sono propedeutici alla commissione di questi ultimi o che comunque sono ad esse contigue (a titolo esemplificativo, ai reati di truffa aggravata di cui all’art. 640-bis c.p., di riciclaggio (art. 648-bis c.p.), a quelli di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ovvero con altri artifici, l’emissione di fatture e altri documenti per operazioni inesistenti, l’occultamento o la distruzione di documenti contabili finalizzata all’evasione fiscale (articoli 2, 3, 8 e 10 del decreto legislativo n. 74/2000), i delitti di false comunicazioni sociali (articoli 2621 e 2622 c.c.).
Inoltre, non si esclude che la presenza dì situazioni anomale possa essere ricondotta a fattispecie distorsive della regolarità e trasparenza delle procedure di aggiudicazione, quali, ad esempio: la comprovata sussistenza di collegamenti sostanziali tra imprese partecipanti alla gara; la rilevata sussistenza di accordi di desistenza artatamente orientati a favorire l’aggiudicazione nei confronti di un’impresa; la accertata violazione dei principi che sorreggono la trasparenza delle procedure ad evidenza pubblica, qualora da elementi di contesto possa formularsi un giudizio di probabile riconducibilità del fatto a propositi di illecita interferenza.
Il comma l richiede, inoltre, che gli elementi riscontrati siano «sintomatici» di condotte illecite o eventi criminali.
La norma non subordina, dunque, l’applicazione delle misure all’acquisizione di una certezza probatoria, tipica del procedimento penale.
E’ sufficiente, piuttosto, che gli elementi riscontrati siano indicativi della probabilità dell’esistenza delle predette condotte ed eventi, probabilità che deve essere ritenuta sulla base di una valutazione discrezionale delle circostanze emerse, le quali devono essere, comunque, connotate da tratti di pregnanza ed attualità.
Il secondo ordine di presupposti, riguarda, invece, il grado di rilevanza delle fattispecie elencate alle lettere a) e b) del ricordato comma 1.
Lo stesso comma 1 stabilisce che, perché possa essere irrogata una delle misure in argomento, le predette fattispecie devono essere connotate da fatti accertati e gravi.
Nel contesto delle misure introdotte dall’art. 32 – destinate ad intervenire in un momento antecedente al giudicato – devono considerarsi «fatti accertati» quelli corroborati da riscontri oggettivi, mentre il requisito della «gravità», richiamato anche dal comma 2, implica che i fatti stessi abbiano raggiunto un livello di concretezza tale da rendere probabile un giudizio prognostico di responsabilità nei confronti dei soggetti della compagine di impresa per condotte illecite o criminali.
Il presupposto oggettivo per l’emanazione di tali misure cautelari coincide, pertanto, non solo con la commissione di reati contro la pubblica amministrazione — di cui sia anche disponibile una sola prova indiziaria — ma anche con vicende propedeutiche o contigue alla commissione di questi ultimi e, infine, con fattispecie distorsive della regolarità e trasparenza delle procedure di aggiudicazione che pure non hanno, o non hanno avuto, conseguenze penali.
Le misure di intervento nei confronti dell’impresa possono essere emanate a seguito di provvedimenti penali che abbiano accertato, anche in via cautelare, responsabilità penali della gestione dell’impresa in riferimento all’affidamento pubblico, ma anche sulla mera rilevazione da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, ora dotata anche dei poteri in materia di accertamento e vigilanza precedentemente detenuti dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, di una situazione anomala e deficitaria sul piano dell’integrità dell’aggiudicatario del contratto pubblico.
Non è perciò necessaria l’acquisizione di una certezza probatoria di tipo giudiziale, essendo piuttosto sufficienti elementi indicativi di tali fattispecie, secondo una valutazione discrezionale da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e del Prefetto territorialmente competente.
Devono, quindi, considerarsi fatti accertati quelli sostenuti da riscontri oggettivi tali da far ritenere probabile un giudizio prognostico di responsabilità nei confronti della governance d’impresa per condotte criminali .
L’accertamento e la valutazione delle circostanze predette non può prescindere da un passaggio procedimentale di interlocuzione con gli interessati (intesi come stazione appaltante, impresa direttamente interessata alla misura in quanto destinataria potenziale ed eventualmente imprese terze interessate a sostituire quest’ultima nell’esecuzione del contratto) e segnatamente dal rigoroso rispetto degli adempimenti procedimentali partecipativi previsti dagli artt. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990.
Veniamo ad esaminare i profili problematici dei presupposti delle misure in dettaglio.
La prima questione attiene a comprendere che cosa si intende per pendenza di un procedimento penale per fatti corruttivi.
Occorre innanzitutto chiedersi quale sia il significato dell’espressione “Nell’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria proceda….”.
Il riferimento all’autorità giudiziaria (che, secondo la terminologia processual-penalistica, comprende sia il pubblico ministero che il giudice) configura come non necessaria la pendenza di un processo penale.
E’, infatti, sufficiente la pendenza di un procedimento penale, anche nella fase delle indagini preliminari, a partire dall’iscrizione della notitia criminis nel registro delle notizie di reato ex articolo 335 c.p.p.
La disposizione in esame non solo non richiede, quindi, la pronuncia di una sentenza di condanna, anche non definitiva, ma neppure l’esercizio dell’azione penale e, quindi, l’acquisizione della qualifica di imputato da parte della persona coinvolta.
In un Dossier del Servizio Studi del Senato si parla di misure per la gestione di imprese aggiudicatarie di appalti pubblici i cui titolari od amministratori siano persone”indagate per delitti contro la P.A.”.
Inoltre nello stesso documento si spiega che l’articolo 32 prevede, anziché l’amministrazione straordinaria temporanea, la possibile nomina di esperti da parte del Prefetto per svolgere funzioni di sostegno e monitoraggio dell’impresa, “se le citate indagini penali” riguardano membri di organi societari diversi da quelli dell’impresa aggiudicataria dell’appalto.
E’ necessario, tuttavia, ricordare che la pendenza del procedimento penale può portare all’attivazione della procedura amministrativa solo in presenza di “fatti gravi ed accertati”.
Occorre, poi, precisare quali debbano essere le persone fisiche sottoposte a procedimento penale, al fine di consentire al Presidente dell’ANAC l’attivazione della procedura.
A questi fini soccorre la lettera a) del comma 1, laddove, a proposito dell’amministrazione temporanea e straordinaria, si parla di “rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto”.
Deve, pertanto, trattarsi di soggetti che compongono organi sociali,
Il riferimento ai componenti degli organi sociali — se intesi stricto sensu – costituirebbe un importante tratto distintivo tra la norma in esame e l’art 5 del d.lg. 231/2001, che, c.9, contempla i c.d. soggetti apicali, i quali non necessariamente fanno parte degli organi sociali (si pensi ai titolari di funzioni di direzione) e neppure comprendono i sindaci.
Ulteriore problema sulla nozione in discorso è posto dal comma 8, per cui le misure di sostegno e monitoraggio ivi previste possono essere disposte se le indagini penali riguardano “organi societari diversi da quelli indicati nel comma 1”.
L’espressione sembra doversi intendere, invece, riferita agli organi societari diversi da quelli titolari di poteri di gestione e cioè ai sindaci e ai soci.
Altro profilo problematico riguarda la individuazione delle situazioni anomale e sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali
Insufficiente in termini di definizione, in ottica di certezza del diritto e di tutela del diritto di difesa dell’impresa, è il secondo presupposto (comma 1, lett. b.) e cioè sul cosa deve intendersi per “rilevate situazioni anomale” e comunque “sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali”.
In sede parlamentare, nel corso dei lavori di conversione del D.L., è stata proposta l’eliminazione del presupposto in esame, anche sulla base delle osservazioni critiche di Confmdustria.
Infine il terzo presupposto riguarda i “fatti gravi e accertati”
Tale requisito, come detto, è da considerarsi aggiuntivo rispetto a quelli appena menzionati.
Si tratta di requisito pregnante.
Il D.L. lo richiama espressamente come fondamento della proposta del Presidente dell’ANAC: sia con riferimento all’ipotesi di pendenza di un procedimento penale per fatti corruttivi, sia con riguardo all’ipotesi alternativa delle situazioni anomale e sintomatiche di illecito.
Per quanto riguarda la decisione del Prefetto, l’articolo 32 riferisce la (sola) valutazione di “particolare” gravità ai fatti oggetto dell’indagine penale: tuttavia appare prevalente il riferimento alla circostanza che il Prefetto debba accertare i “presupposti indicati al comma 1”.
Ipotesi B.
Veniamo all’altra ipotesi, quella connessa all’intervenuta interdittiva antimafia da parte del prefetto.
Come detto, il comma 10 si basa, invece, su diversi presupposti.
Oltre all’emanazione dell’interdittiva deve, inoltre, sussistere (ed essere motivata senza ricorrere a formule di stile) “l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici”.
Tale ultimo riferimento alla necessità di assicurare l’esecuzione o la prosecuzione del contratto non è contenuto nei commi 1 e 2.
Nelle seconde linee guida dell’ANAC si legge: “Il citato comma 10 configura, infatti, il completamento dell’esecuzione contrattuale o la sua prosecuzione come un mezzo per soddisfare interessi pubblici di rango più elevato, tassativamente elencati dalla norma, e cioè:
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– la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali. Con tale espressione il Legislatore ha voluto fare riferimento all’ esigenza di evitare interruzioni nell’erogazione di prestazioni che risultano indispensabili per consentire ad una collettività o a tipologie di utenti di poter esercitare diritti primari costituzionalmente garantiti quali la libertà di circolazione, il diritto alla salute ecc.;
– la salvaguardia dei livelli occupazionali. L’espressione “livelli occupazionali” fa riferimento in questo caso alla necessità di mantenere in essere un numero consistente di posti di lavoro, la cui perdita inciderebbe sul livello complessivo della popolazione occupata in un determinato contesto geografico (ad esempio nel territorio provinciale) o in un determinato comparto produttivo. Una lettura diversa dell’ art. 32, comma 10, del D.L. n. 90/2014 rischierebbe, infatti, di rivelarsi poco coerente con il principio di ragionevolezza. Essa, infatti , finirebbe per ammettere la possibilità di derogare alla regola generale della risoluzione del contratto con l’impresa contigua alla criminalità organizzata (e quindi di accettare una minore tutela dell ‘interesse “sicurezza pubblica”) al solo fine di tutelare posizioni poco più che individuali.
— l’integrità dei bilanci pubblici. E’ di tutta evidenza che la norma intende salvaguardare non la mera capacità dell’impresa di produrre reddito e, quindi, di generare un potenziale gettito tributario. Se così fosse si dovrebbe ammettere che l’esigenza di garantire “l’integrità dei bilanci pubblici” ricorrerebbe pressoché ogni qual volta un’impresa è colpita da un’informazione antimafia interdittiva. Si è, invece, dell’avviso che l’art. 32, comma 10, faccia riferimento ad un interesse più “qualificato” e concreto, consistente nella necessità di evitare che l’interruzione di determinate attività implichi un danno diretto ed immediato alle entrate fiscali e quindi alle complessive esigenze della finanza pubblica (si pensi al caso, già sperimentato nella pratica, di attività di gestione dei giochi leciti sottoposte a concessione dell’Amministrazione finanziaria). Né si può escludere, salvo verificarne in concreto l’effettività, che un tale interesse possa essere messo a rischio nel caso in cui la realizzazione di un’opera comporti un consistente impiego di risorse pubbliche che potrebbe essere compromesso da un’eccessiva dilatazione dei tempi di esecuzione (ad esempio nel caso di Expo). Da quanto detto risulta evidente che esula dalle finalità perseguite dall’ art. 32, comma M, del D.L. n. 90/2014 il mero interesse dell’impresa a vedersi applicata una delle misure straordinarie in argomento, nell’intento di continuare nel rapporto con la pubblica amministrazione, sotto controllo di legalità, evitando cosi di subire l’interruzione del contratto con le conseguenti ricadute sul piano economico ma anche del venir meno di un requisito per una futura, successiva qualificazione”.
È sorto il dubbio se nel perimetro della straordinaria e temporanea gestione di cui all’art. 32, comma 1, lett. b), del d.l. 90/2014 rientri la mera aggiudicazione di una gara finalizzata alla stipula di una Convenzione ex art. 26 L. n. 488/1999 (aggiudicazione disposta prima dell’adozione dell’interdittiva antimafia, ma senza che sia intervenuta la stipula).
Infatti altro problema di estrema delicatezza riguarda il presupposto dell’esistenza di un rapporto contrattuale in corso.
In riscontro alla richiesta di parere, relativamente ai quesiti sopra richiamati, si è correttamente osservato che la fattispecie concreta sottoposta da CONSIP SpA all’esame di ANAC non è suscettibile di rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 32, commi 1 e 10, d.l. 90/2014, non essendo ancora intervenuta la stipula del contratto, la disciplina delle misure straordinarie presupponendo che il rapporto contrattuale tra la stazione appaltante e l’operatore economico sia in corso di esecuzione (ANAC parere 21 ottobre 2015).
L’alternativa scelta di proseguire il contratto con altro concorrente in applicazione dell’articolo 140 del decreto legislativo numero 163 del 2006
Ipotesi A (la sostituzione dell’aggiudicatario originario)
Va richiamata la giurisprudenza che si era formata in ordine alla fase procedimentale disciplinata dall’art. 140 d.lgs. cit., che è stata configurata come un segmento di un’unica procedura di affidamento, avviata con la pubblicazione del bando.
La disposizione consente alla stazione appaltante, in presenza degli eventi ivi tassativamente dettagliati (che impediscono all’impresa inizialmente aggiudicataria la realizzazione delle opere oggetto dell’appalto), di interpellare progressivamente le imprese che, nella graduatoria, seguono quella appaltatrice al fine di affidare a quella disponibile il completamento dei lavori “alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede di offerta”.
(Cons. St., sez. VI, 14 novembre 2012, n. 5747).
Sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, dunque, l’azione amministrativa preordinata alla scelta dell’impresa alla quale affidare il completamento dei lavori in seguito alla risoluzione del contratto d’appalto per uno degli eventi tassativamente elencati nella disposizione in esame risulta vincolata dal rispetto delle risultanze della gara inizialmente bandita, restando preclusi sia l’interpello di imprese diverse da quelle utilmente classificatesi all’esito della selezione già svolta, sia la modificazione delle condizioni del contratto (Consiglio di Stato, sez. III, 13 gennaio 2016, n. 76).
Ipotesi B (la prosecuzione del rapporto con il medesimo raggruppamento di imprese ma in composizione differente).
Con riguardo ai raggruppamenti temporanei di imprese la giurisprudenza, con riguardo alla disciplina dell’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006, ha ritenuto che:
– il generale divieto di modificazione della composizione soggettiva dei raggruppamenti temporanei è volto a garantire l’amministrazione appaltante in ordine alla verifica dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economica, nonché alla legittimazione delle imprese che hanno partecipato alla gara, oltre che a presidiare la complessiva serietà delle imprese che partecipano alla gara, onde assicurare l’affidabilità del futuro contraente dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, n. 3344/2014);
– ne deriva che, una volta che un raggruppamento temporaneo di imprese abbia partecipato a una gara, non è possibile alcuna modifica, tanto meno soggettiva, in ordine alla composizione del raggruppamento ed a quanto dichiarato in sede di gara con l'”impegno presentato in sede di offerta”, di cui parla il comma 9 dell’art. 37 (Cons. Stato, sez. IV, n. 3344/2014);
– il divieto di modificare la composizione dei raggruppamenti temporanei riguarda l’arco intero della procedura di evidenza pubblica (Cons. Stato, sez. IV, n. 3344/2014), mentre le eccezioni contemplate ai commi 18 e 19, concernenti il fallimento del mandante e del mandatario, la morte, l’interdizione o inabilitazione dell’imprenditore individuale, nonché le ipotesi previste dalla normativa antimafia, riguardano evenienze relative alla successiva fase dell’esecuzione del contratto (cfr. Cons. Stato, V, n. 4350/2003, che, pronunciandosi con riferimento al disposto dell’art. 94 del D.P.R. n. 554/99, ratione temporis vigente, ha puntualizzato che ogni eccezione al principio di immodificabilità dell’offerta e della composizione dei partecipanti dopo l’offerta non può che essere applicata restrittivamente alle sole ipotesi espressamente disciplinate dal legislatore, tra le quali non rientra il caso del fallimento della mandataria di una ATI intervenuto in corso di gara);
– l’illegittima modificazione soggettiva del raggruppamento produce, sul piano pubblicistico, le conseguenze disciplinate dall’art. 37, co. 10, d.lgs. n. 163/2006, ossia, a seconda dei casi, l’esclusione dalla procedura, l’annullamento dell’aggiudicazione e la nullità del contratto eventualmente stipulato (Cons. Stato, sez. IV, n. 6446/2012);
– il divieto di modificazione della compagine delle associazioni temporanee di imprese o dei consorzi nella fase procedurale corrente tra la presentazione delle offerte e la definizione della procedura di aggiudicazione, è finalizzato a impedire l’aggiunta o la sostituzione di imprese partecipanti all’a.t.i. o al consorzio, e non anche a precludere il recesso di una o più di esse, a condizione che quelle che restano a farne parte risultino titolari, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione e che ciò avvenga per esigenze organizzative proprie dell’A.t.i. o Consorzio, e non invece per eludere la legge di gara e, in particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell’a.t.i. venuto meno per effetto dell’operazione riduttiva (Cos. Stato, Ad .Plen., n. 8/2012;. Consiglio di Stato, sez. V, 20/01/2015n. 169).
La predetta giurisprudenza è sostanzialmente applicabile anche alle analoghe disposizioni introdotte dal nuovo Codice dei contratti pubblici (D. lgs. n. 50 del 2016, artt. 110 e 48, sopra riportati).
In particolare va rimarcato che l’alternatività tra la scelta di proseguire il contratto con il medesimo imprenditore aggiudicatario dell’appalto ovvero di procedere alla risoluzione del contratto stesso e all’aggiudicazione dell’appalto della concessione ad un soggetto individuato con le modalità di cui all’articolo 110 del nuovo codice dei contratti della pubblica amministrazione, rende necessario un momento di raccordo tra l’ANAC ed i prefetti con le stazioni appaltanti in quanto la valutazione e l’esito della stessa potrebbero avere effetti particolarmente rilevanti sull’amministrazione competente all’aggiudicazione dell’appalto ovvero al rilascio della concessione, non ultimo sul piano delle conseguenze risarcitoria che potrebbero derivare da un eventuale contenzioso.
Competenza territoriale del Prefetto e procedimento
Competenza.
Per quanto attiene al tema della competenza territoriale del prefetto, attesa la formulazione della norma, sarebbero praticabili diverse opzioni.
Nelle more di un auspicabile chiarimento legislativo, appare prudente rimettersi ad un criterio interpretativo che agganci l’individuazione della competenza territoriale ad un elemento di sistema già presente nel diritto positivo.
Il radicamento della competenza conseguirà alla scelta effettuata dalla Autorità proponente, e, dunque, dal Presidente dell’ANAC, sulla base delle varie esigenze che emergono nelle singole fattispecie.
Il dato normativo testuale àncora però la competenza alla sede della stazione appaltante con la conseguenza che potrebbero essere più prefetti investiti della competenza a disporre la applicazione della misura straordinaria con evidenti profili di potenziale carenza di coordinamento che potrebbe essere supplita dal ruolo che svolge il Ministro dell’Interno al fine di uniformare le scelte sul territorio.
Le seconde linee guida dell’ANAC delineano il seguente assetto delle competenze “La legge di conversione n, 11 4/2014 è intervenuta a disciplinare espressamente la materia, con un’integrazione del comma 1 dell’art. 32, in virtù della quale la competenza a disporre le misure in argomento viene attribuita in via esclusiva al Prefetto del luogo dove ha sede la stazione appaltante. Ciò nell’evidente considerazione che quest’ ultimo, operando nell’ambito territoriale in cui è stato aggiudicato l’appalto, potrà. disporre di maggiori elementi valutativi sulle condizioni di illiceità che giustificano l’adozione della misura straordinaria e seguirne più agevolmente la gestione commissariale.
Diverso, invece, il caso, previsto dal comma 10 dell’art. 32, in cui l’evento a monte della misura non coincide con un fatto corruttivo o illecito riferibile ad una ipotesi contrattuale ben individuata, quanto piuttosto ad un giudizio sull’onorabilità, dal punto di vista antimafia, dell’operatore economico, che si riverbera sulla complessiva capacità a contrattare con la pubblica amministrazione.
In questo caso l’adozione dello straordinario strumento commissariale ben potrebbe, in linea assolutamente teorica, essere attivato, da parte del Prefetto , non solo a presidio dell’appalto per il quale è stato chiesto il rilascio della documentazione antimafia, ma nei confronti di tutti i contratti in atto al momento del rilascio dell’interdittiva, ove ricorressero simultaneamente per tutti le eccezionali condizioni di cui al comma 10.
In questa prospettiva si comprende la scelta operata dal legislatore, laddove, con il D. Lgs. n. 153/2014, ha inserito una specifica previsione nell’art. 92 del D. Lgs. n. 159/2011.
A differenza. di quanto previsto per il 32, comma 1, tale novella attribuisce al Prefetto, che ha emesso l’informazione antimafia interdittiva, la titolarità del potere di avviare il procedimento per l’applicazione delle misure di cui all’art. 32, comma 10, del D.L. n. 90/2014 e di adottare il relativo provvedimento finale. E’ appena il caso di ricordare che, a seguito delle modificazioni introdotte dal D. Lgs. n. 153/2014, il Prefetto competente al rilascio dell’informazione antimafia è quello della provincia in cui l’impresa ha la sede legale, ovvero, per le società ex art, 2508 c.c., della provincia in cui è stata stabilita la sede secondaria con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato.
In particolare, è possibile fare riferimento all’art. 90, comma 1, del Codice antimafia, che, in relazione al rilascio delle informazioni, affida tale competenza, alternativamente, al prefetto del luogo in cui hanno sede le stazioni appaltanti o del luogo in cui hanno residenza o sede le persone fisiche, le imprese o gli altri soggetti nei cui confronti viene richiesta la stessa informazione.
Ciò posto, si raccomanda di riservare una particolare attenzione all’ipotesi. in cui la sussistenza delle condizioni esìgenziali per l’adozione della misura vengano a riguardare un contratto in corso di esecuz ione in sede diversa da quella del Prefetto competente.
Sarà infatti essenziale che, in tali casi , i due prefetti procedano in stretta sinergia, sin dall’avvio del procedimento di valutazione della sussistenza delle condizioni per l’adozione del commissariamento, al fine di assicurare la massima condivisione informativa in tutte le fasi sia propedeutiche che successive all’adozione della misura”.
Restano ovviamente ferme le disposizioni che, in relazione a particolari fattispecie (com’è, ad esempio, per il caso della ricostruzione in Abruzzo o dell’Expo 2015), prevedono la possibilità di specifiche deroghe anche al cennato art. 90, comma 1.
Procedimento
L’art. 32 delinea un procedimento articolato in due fasi.
La prima consiste nella proposta che il Presidente dell’ANAC, all’esito di una valutazione delle situazioni emerse, rivolge al Prefetto competente, indicando la misura ritenuta più adeguata da adottare;
La seconda consiste nell’adozione della misura da parte del Prefetto.
I due segmenti sono collegati e l’art. 32 prefigura una procedura a formazione progressiva, in quanto alla proposta motivata del Presidente dell’ANAC segue un’autonoma fase valutativa del Prefetto che può giovarsi anche di ulteriori approfondimenti, anche attraverso momenti di interlocuzione con la stessa Autorità.
Tra i due segmenti non si può eludere il momento partecipativo degli interessati in applicazione degli artt. 7 e ss. della legge n. 241 del 1990 sul quale si regge la tenuta costituzionale dell’assetto normativo.
Come si è già accennato, l’art. 32, in attuazione del principio di proporzionalità, gradua le misure da applicare in ragione della gravità della situazione in cui versa l’impresa.
A tal fine, la disposizione distingue due ipotesi.
La prima riguarda il caso in cui le fattispecie elencate al comma 1, lettere a) e b) interessino i soggetti componenti degli «organi sociali». Anche in questo caso pare logico ritenere che tale espressione sia da intendersi riferita agli organi titolari dei poteri di amministrazione.
L’art. 32 prevede che, laddove la situazione verificatasi possa essere superata attraverso un allontanamento del soggetto titolare o componente dell’organo sociale coinvolto nelle predette vicende, il Prefetto applicherà la misura di cui al comma 1, lettera a).
Detta misura consiste nell’ordine di rinnovare l’organo sociale mediante sostituzione del soggetto coinvolto entro il termine di trenta giorni, ovvero, nei casi più gravi, di dieci giorni (comma 2).
Nel caso in cui l’impresa non abbia ottemperato all’ordine di rinnovazione dell’organo sociale ovvero nel caso in cui la rinnovazione dell’organo sociale non risulti sufficiente a garantire gli interessi di tutela della legalità e dell’immagine dell’amministrazione (ad esempio, perché le situazioni verificatesi interessano più organi o una pluralità di loro componenti), si fa luogo alla misura più penetrante della straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, sempre limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto.
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Il procedimento di cui all’articolo 32 (commi 1, 2 e 8, giova ribadirlo, richiede l’intervento necessario di due distinte Autorità amministrative: il Presidente dell’ANAC – cui è riservato l’esercizio del potere di proposta – e il Prefetto – che è l’organo decisorio, cui si imputano soggettivamente, ed anche sotto il profilo della responsabilità, gli atti che definiscono il procedimento.
In buona sostanza, ci si troverà di fronte ad una duplice motivazione, la prima a sostegno dell’atto propulsivo del Presidente dell’ANAC e la seconda a sostegno del decreto del Prefetto.
Il Prefetto non può, pertanto, adottare d’ufficio il provvedimento, potendo, comunque, sollecitare il Presidente dell’ANAC ad attivare formalmente la procedura.
Diversa è la procedura di cui al comma 10, che ha carattere monofasico ad iniziativa e definizione prefettizia.
La disposizione prevede che le misure in questione sono adottate in autonomia dal Prefetto, che le comunica al Presidente dell’ANAC.
Si tratta dell’ipotesi in cui sia stata emessa dal Prefetto un’informazione antimafia interdittiva e sussista l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto, ovvero la sua prosecuzione.
Anche in questo procedimento vale il principio di garanzia della partecipazione, che non è prevista per l’adozione dell’interdittiva, ma è doverosa per l’adozione del provvedimento di nomina degli amministratori straordinari ai sensi dell’articolo 32 del decreto-legge n. 90.
Non sussiste la necessità del previo intervento della comunicazione di avvio del procedimento in occasione dell’emissione dell’informativa interdittiva e dei conseguenti provvedimenti incidenti sul rapporto amministrativo a valle, poiché si tratta di procedimenti in materia di tutela antimafia, come tali caratterizzati intrinsecamente da riservatezza ed urgenza.(Cfr. Cons. St., sez. VI, 29 febbraio 2008 n. 756; Cons. St., sez. V, 12 giugno 2007 n. 3126; id., 28 febbraio 2006 n. 851).
Detto orientamento peraltro andrebbe rivisto in quanto gli effetti che derivano dall’interdittiva antimafia hanno sull’impresa una portata tale da determinarne una forma di inibizione per il futuro di contrarre con la pubblica amministrazione o di essere destinataria di atti applicativi della sfera giuridica da parte di quest’ultima, magari utilizzando una serie di cautele volte da non pregiudicare il contrasto dei fenomeni di infiltrazione mafiosa nel contesto del mondo imprenditoriale.
La tipologia dei provvedimenti adottabili
L’art. 32 consente alternativamente l’adozione di uno dei seguenti provvedimenti:
– la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto nelle predette vicende individuate come rilevanti ai fini qui in argomento (comma 1, lettera a);
– la straordinaria e temporanea gestione dell’attività dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto oggetto del procedimento penale (comma 1, lettera b);
– il sostegno e il monitoraggio dell’impresa, finalizzati a riportarne la gestione entro parametri di legalità (comma 8).
L’intervento sostitutivo non viene ad implicare «l’azzeramento» degli organi sociali preesistenti, ma si concretizza in un più limitato intervento di «sterilizzazione» che appare più conforme, nell’attuale fase, ad un prudenziale criterio di non invadenza e di rispetto dell’autonomia di impresa.
Pertanto, nei primi due casi gli amministratori nominati dal Prefetto sostituiranno i titolari degli organi sociali dotati di omologhi poteri soltanto per ciò che concerne la gestione delle attività di impresa connesse all’esecuzione dell’appalto da cui trae origine la misura.
Gli organi sociali ordinari resteranno in carica per lo svolgimento di tutti gli altri affari riguardanti lo stesso o altri eventuali settori dell’attività economica dell’azienda.
Si realizza in tal modo una forma di gestione separata e a tempo di un segmento dell’impresa, finalizzata esclusivamente all’esecuzione dell’appalto pubblico, le cui modalità di attuazione e di gestione potranno essere definite anche attraverso il ricorso agli strumenti previsti dall’ordinamento – si pensi ad esempio a quelli regolati dall’art. 2447-bis c.c. – che consentono forme di destinazione specifica del patrimonio sociale ad un determinato affare.
Con l’atto che dispone tale misura, il Prefetto provvede anche:
– alla nomina di nuovi amministratori (fino ad un massimo di tre), scelti tra soggetti in possesso dei requisiti di professionalità e moralità previsti dal decreto ministeriale 10 aprile 2013, n. 60, per coloro che vengono chiamati a ricoprire l’incarico di commissario giudiziale e commissario straordinario nelle procedure di amministrazione straordinaria di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (comma 2);
– alla determinazione del compenso spettante ai predetti amministratori, calcolato sulla base delle tabelle allegate al decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14, che regola gli emolumenti da corrispondere agli amministratori giudiziari (comma 6, modalìta oggidisciplinata dalle terze Linee guida ANAC- Ministero dell’Interno);
– la durata della straordinaria e temporanea gestione che deve essere commisurata alle esigenze connesse alla realizzazione dell’appalto pubblico oggetto del contratto.
Con la straordinaria e temporanea gestione, sono sospesi l’esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari dell’impresa, nonché i poteri dell’assemblea dei soci.
Gli amministratori nominati dal Prefetto assumono, invece, i poteri degli organi di amministrazione limitatamente al segmento di attività riguardante l’esecuzione dell’appalto pubblico da cui trae origine la misura, provvedendo per le somme introitate dall’impresa ad osservare le particolari regole stabilite al comma 7.
Una misura diversa viene, infine, prevista nell’ipotesi in cui le indagini concernenti le situazioni di cui al predetto comma 1 riguardino componenti diversi dagli organi sociali, propriamente titolari dei poteri di amministrazione.
Tale fattispecie presuppone un minor livello di compromissione dell’operatore economico e giustifica, in ragione del principio di proporzionalità, l’adozione di una misura più attenuata, consistente nella nomina di uno o più esperti con compiti di monitoraggio e sostegno dell’impresa (comunque in numero non superiore a tre), nominati dal Prefetto tra coloro che sono in possesso dei requisiti di professionalità e moralità di cui al già menzionato
Il procedimento di nomina degli esperti e quello di determinazione del loro compenso è regolato in termini coincidenti a quelli previsti per gli amministratori incaricati della straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, per cui si rinvia a quanto già detto sopra sull’argomento.
Vale piuttosto la pena soffermare l’attenzione sull’obiettivo perseguito dalla finalità in commento che consiste nell’inserire all’interno della compagine di impresa un «presidio», in grado di stimolare l’avvio di un percorso finalizzato a riportare la linea gestionale su binari di legalità e trasparenza.
A tal fine, infatti, l’art. 32, comma 8, attribuisce agli amministratori il potere di fornire all’impresa prescrizioni operative, riferite ai seguenti aspetti della vita dell’azienda:
– ambiti organizzativi;
– sistema di controllo interno;
– organi amministrativi e di controllo.
La cessazione degli effetti delle misure straordinarie
Il comma 5 dell’art. 32 individua le ipotesi di cessazione anticipata della rinnovazione dell’organo sociale e della straordinaria e temporanea gestione dell’impresa.
La norma prevede, infatti, che il Prefetto debba revocare le predette misure nel caso in cui sopravvenga un provvedimento che dispone la confisca, il sequestro o l’amministrazione giudiziaria dell’impresa.
Tali ipotesi non escludono comunque la possibilità che la revoca del provvedimento possa essere disposta nell’esercizio del generale potere di autotutela disciplinato dall’art. 21 quinques della legge 7 agosto .. n. 241.
Ancorché ciò non sia espressamente previsto, si ritiene che la revoca debba essere disposta anche nel caso in cui l’Autorità Giudiziaria adotti un provvedimento che escluda ipotesi di responsabilità dell’operatore economico nelle vicende che hanno dato luogo alle misure (sentenze di non luogo a luogo a procedere adottata per motivi diversi dall’estinzione del reato, sentenze di assoluzione adottate ai sensi dell’articolo 530, comma 1, c.p.p.).
In tali ipotesi viene infatti meno il presupposto sulla base del quale è stato adottato il provvedimento conformativo dell’attività di impresa.
Si ritiene, invece, che la revoca debba essere proceduta da una valutazione discrezionale, sviluppata dal Prefetto d’intesa con il Presidente dell’ANAC, nell’ipotesi in cui sopravvengano sentenze di proscioglimento per motivi diversi da quelli sopra indicati, sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, ovvero provvedimenti che determinano la cessazione delle misure cautelari disposte dall’Autorità Giudiziaria.
Occorrerà valutare se i provvedimenti sopravvenuti siano in grado di far ritenere che sia venuto meno il profilo di responsabilità addebitabile all’impresa o che esso si sia comunque attenuato al di sotto della soglia di certezza o gravità richiesta dal comma 1 dell’art. 32.
Analogamente la cessazione degli effetti della misura straordinaria va ricondotta all’adozione da parte del giudice amministrativo di provvedimenti cautelari che sospendono l’efficacia o di sentenza di annullamento dell’interdittiva antimafia.
In particolare l’annullamento dell’interdittiva non produce soltantoeffetti vizianti sulle misure straordinarie ex articolo 32 del decreto-legge 90, bensì caducanti.
Giova ricordare che per la concreta individuazione della invalidità ad effetto caducante si deve valutare l’intensità del rapporto di consequenzialità, con riconoscimento di tale effetto solo ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito della stessa sequenza procedimentale, come inevitabile conseguenza di quello anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi, estranei alla precedente vicenda contenziosa.
Nel processo amministrativo, infatti, in presenza di vizi accertati dell’atto presupposto deve distinguersi tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante, nel senso che nel primo caso l’annullamento dell’atto presupposto si estende automaticamente all’atto conseguenziale anche quando quest’ultimo non è stato impugnato, mentre nel secondo caso l’atto conseguenziale è affetto da illegittimità derivata, ma resta efficace ove non ritualmente impugnato.
La prima ipotesi ricorre nel solo caso in cui l’atto successivo venga a porsi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale, quale inevitabile conseguenza dell’atto anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, il che comporta la necessità di valutare l’intensità del rapporto di conseguenzialità tra l’atto presupposto e l’atto successivo, con riconoscimento dell’effetto caducante qualora detto rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito dello stesso contesto procedimentale, come conseguenza ineluttabile rispetto all’atto precedente (Consiglio di Stato, sez. V, 13 novembre 2015, n. 5188).
La prima casistica giurisprudenziale
Il primo contenzioso amministrativo ha avuto origine dall’avvio di un’indagine penale, ed è relativo all’appalto pubblico per la progettazione ed esecuzione dei lavori delle architetture di servizio per l’evento Expo 2015.
Dalle indagini della Procura di Milano per i reati di corruzione e turbativa d’asta dell’appalto in questione, concluse con l’adozione di misure cautelari personali nei confronti del direttore generale della stazione appaltante e dell’amministratore delegato dell’impresa aggiudicataria sono, infatti, emerse violazioni dei principi di concorrenza e trasparenza nello svolgimento della procedura di aggiudicazione tali da indurre le imprese classificatesi seconde in graduatoria, costituitesi in r.t.i, a formulare alla stazione appaltante richiesta di risoluzione del contratto sottoscritto con l’impresa aggiudicataria.
A seguito della risposta negativa della stazione appaltante , secondo cui non sussistevano i presupposti per la risoluzione del contratto, le imprese seconde classificate hanno presentato ricorso dinanzi al TAR Lombardia, sede di Milano, impugnando gli atti della procedura di aggiudicazione.
Ne è derivata, a opera dell’impresa aggiudicataria resistente, un’eccezione di rito relativa alla tardività del ricorso: eccezione respinta dal TAR Lombardia secondo cui il termine d’impugnazione dovesse considerarsi decorrente dalla data, successiva all’aggiudicazione, di conoscenza degli elementi emersi dalle indagini penali e dalle misure cautelari emanate per i reati commessi.
Il TAR Lombardia ha poi proceduto a annullare l’aggiudicazione dell’appalto pubblico in considerazione della violazione del protocollo di legalità, parte integrante della lex specialis della gara, sottoscritto anche dall’aggiudicataria, con cui ogni operatore economico coinvolto nella procedura pubblica si sottoponeva a obblighi d’informazione e di denuncia della commissione di eventi criminali che potessero compromettere la legittimità della procedura nonché ad accettare il relativo sistema sanzionatorio, in forza di cui tali prescrizioni erano vincolanti a pena di esclusione dalla gara e alla cui violazione conseguiva la revoca dell’affidamento e la risoluzione automatica del contratto.
Il giudizio d’appello innanzi al Consiglio di Stato si è concluso a favore degli appellanti.
Si legge in particolare nella sentenza del Consiglio di Stato numero 143 del 2015: “Sotto tale ultimo profilo, mette conto richiamare nuovamente la sopravvenuta disciplina di cui al già citato d.l. nr. 90 del 2014, la quale secondo l’avviso di questa Sezione costituisce la miglior conferma del carattere non automaticamente viziante di fatti come quelli emersi durante l’esecuzione dell’appalto di che trattasi (come dimostrato dal fatto che il legislatore ha dovuto escogitare uno strumento ad hoc per impedire all’affidatario di continuare a percepire quello che potrebbe essere il profitto di un reato), e al tempo stesso dell’opzione normativa in favore del mantenimento in essere del rapporto contrattuale scaturito dall’originario affidamento (come dimostrato dall’avere il legislatore bilanciato unicamente i due interessi pubblici alla sollecita realizzazione dell’opera pubblica e ad impedire al possibile reo di lucrare sul proprio illecito, lasciando sullo sfondo l’interesse delle altre imprese partecipanti alla gara a monte).
Tale ultimo interesse, se del caso, potrà trovare tutela in via risarcitoria attraverso la costituzione di parte civile nel giudizio penale ovvero attraverso la proposizione di autonoma azione nei confronti di coloro che dovessero risultare responsabili di reati (laddove, quanto ai pubblici funzionari, l’effettivo e definitivo accertamento della loro responsabilità penale confermi l’interruzione del rapporto di immedesimazione organica con l’Amministrazione di appartenenza)”.
Altra pronuncia che fa applicazione dei principi desumibili dall’art. 32 del D.L. n. 90 è quella del Consiglio di Stato n. 4539 del 2015.
Nella fattispecie si lamentava che il Prefetto di Roma avrebbe adottato l’informativa antimafia, in violazione del disposto di cui all’art. 32 del d.l. 90/2014 e del Protocollo d’intesa ANAC/Ministero dell’Interno, i quali prevedono misure più attenuate e meno estreme di gestione, sostegno e monitoraggio, in favore dell’impresa sospetta di infiltrazioni mafiose, prima di emettere l’informativa, che paralizza di fatto la vita dell’impresa, aggiudicataria di ben 57 commesse pubbliche.
Nella sentenza si legge “È ben evidente, dalla lettura di tale ultima disposizione, che l’emissione del provvedimento interdittivo non necessariamente debba essere preceduta dall’adozione delle misure di cui al comma 1 dell’art. 32 del d.l. 90/2014, sicché il Prefetto può legittimamente emettere l’informativa, ricorrendone i presupposti di cui all’art. 91 del d. lgs. 159/2011, salvo poi, nelle ipotesi di cui al comma 10 dell’art. 32 del d.l. 90/2014, adottare successivamente le misure sostitutive di cui al comma 1 del predetto articolo.
37.1. La mancata previa adozione di tali misure non ha efficacia invalidante, dunque, sull’emissione dell’informativa né viola i canoni di adeguatezza, proporzionalità ed adeguatezza.
37.2. Dal quadro normativo sin qui descritto si desume, in altri termini, che le misure di cui all’art. 32, commi 1, 2 e 8, del d.l. 90/2014 possono essere applicate contestualmente all’adozione dell’interdittiva antimafia e che l’intervento sostitutivo dell’autorità prefettizia, in ipotesi di interdittiva già in atto, è consentito solo nelle ipotesi eccezionali, previste dal comma 10, che giustificano la prosecuzione del rapporto contrattuale, previa “bonifica” dell’assetto societario, per preminenti ragioni di interesse generale, al punto che l’attività di temporanea e straordinaria gestione dell’impresa è considerata di “pubblica utilità”, come chiarisce il comma 4.
37.3. Tanto sono preminenti ed eccezionali tali ragioni e tanto esse sono di interesse generale, peraltro, che il successivo art. 92, comma 2-bis, del d. lgs. 159/2011 prevede che il procedimento, previsto dall’art. 32, comma 1, del d.l. 90/2014, debba essere avviato obbligatoriamente d’ufficio dal Prefetto, con la conseguenza che l’impresa interessata è legittimata ad esercitare, nell’ambito di esso, esclusivamente gli strumenti di partecipazione previsti dagli art. 7, 8 e 10 della 1. 241/1990 e non a chiedere l’avvio del procedimento stesso”.
Criticità dell’istituto e compatibilità con i principi costituzionali e della CEDU.
Secondo Confindustria (documento redatto in occasione dell’audizione in Parlamento): “occorre considerare che il decreto-legge collega i poteri del Presidente dell’ANAC e del Prefetto a fatti generici e privi di rilevanza.In particolare, si prevede la possibile attivazione di tali poteri anche al di là dell’avvio di indagini penali e in presenza di non meglio precisate “situazioni anomale” o “sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali”, trascurando il fatto che il Presidente dell’ANAC e il Prefetto non sono pubblici ministeri né giudici, non hanno poteri istruttori idonei ad attivarsi in queste situazioni e non offrono le giuste garanzie in termini di difesa dei soggetti coinvolti. Il riferimento a questi presupposti generici andrebbe quindi espunto dal testo”.
L’istituto disciplinato dall’articolo 32 del decreto-legge 90 del 2014, avendo lo stesso contenuto dispositivo delle sanzioni interdittive previste dalla disciplina penale, potrebbe rientrare, secondo i parametri della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella materia penale, con possibili conseguenze in merito alla sua legittimità, siccome tramite esso vengono emanate misure sanzionatorie punitive in assenza delle garanzie penali.
L’intersezione, e l’eventuale conflitto, tra il diritto penale e quello amministrativo è un elemento ricorrente all’interno di una speciale normativa di contrasto alla corruzione, come già rilevato anche a livello nazionale (Corte europea dei diritti dell’uomo 30 aprile 2015 ricorso numero 3453/12; Corte europea dei diritti dell’uomo 4 marzo 2014 ricorso numero 18.640/10, 18.647/10, 18.663/10, 18.668/10,18.698/10; 21 febbraio 1984 ricorso numero 8544/79).
Un secondo profilo di criticità dell’istituto viene in rilievo con riferimento al fatto che l’applicazione del “commissariamento” dia prevalenza ai soli interessi pubblici a estromettere i soggetti criminali dagli appalti pubblici e al celere proseguimento dei lavori pubblici laddove il sindacato sulla legittimità della procedura pubblica e l’interesse delle altre imprese partecipanti all’aggiudicazione della gara risultano interessi recessivi.
Secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato e dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (seconde linee guida) la disciplina del commissariamento sopperisce all’assenza di previsioni normative per ipotesi, come quella in esame, in cui non sono emersi vizi amministrativi tali da indurre l’autorità giudiziaria a un annullamento dell’aggiudicazione, e tuttavia appare in certi casi intollerabile consentire di proseguire i lavori a un imprenditore nei cui confronti pendano imputazioni per fattispecie penali collegate alla stessa procedura di aggiudicazione.
La soluzione della straordinaria e temporanea gestione dell’impresa si pone dunque come alternativa percorribile alla risoluzione del contratto prevista dai Protocolli di legalità, in particolare in caso di inerzia della stazione appaltante a servirsi della clausola di risoluzione espressa.
D’altronde lo stesso protocollo d’intesa tra Ministero dell’Interno e Autorità Nazionale Anticorruzione ha evidenziato come sia opportuno che la decisione di attivare la risoluzione contrattuale debba essere previamente sottoposta alla valutazione dell’Autorità per consentire a quest’ultima di verificare se sia invece preferibile proseguire nel rapporto contrattuale, previo il rinnovo o la sostituzione degli organi dell’impresa aggiudicataria interessata dalle vicende corruttive (protocollo di legalità del 15 luglio 2014 paragrafo 4).
La corretta attuazione dei protocolli di legalità consentirebbe tuttavia di limitare l’intervento pubblico nella gestione dell’impresa aggiudicataria procedendo direttamente alla risoluzione del contratto pubblico aggiudica permettendo così agli offerenti rispettosi degli obblighi sanciti di subentrare nell’aggiudicazione.
La disciplina della gestione straordinaria delle imprese giunge, invece, a sottrarre l’aggiudicazione e l’esecuzione dell’appalto agli offerenti che, se non fossero intervenuti gli illeciti dell’aggiudicataria o della stazione appaltante, sarebbero stati i legittimi aggiudicatari del contratto pubblico, oltre a porre le premesse per il risarcimento del danno nei loro confronti.
A ciò consegue che al danno per le finanze pubbliche, derivante dall’aggiudicazione di un appalto in una situazione di concorrenza violata, si possa aggiungere quello del risarcimento dei danni a favore del secondo offerente in graduatoria. Il che equivarrebbe in un duplice danno per la pubblica amministrazione.
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