INFORMATIVA ANTIMAFIA – Il Tar si ferma innanzi alle valutazioni del prefetto – Il C.G.A. annulla l’interdittiva per difetto di istruttoria e di motivazione – Ruolo crescente dell’istruttoria del giudice – TAR Palermo 26.3.2014 E C.G.A. 2.10.2015
C.G.A. 2.10.2015 n. 627, sentenza, pres. Lipari, est. Barone (previa istruttoria con ord. C.G.A. 25.02.2015 n. 141, pres. Lipari, est. Barone, annulla Tar Palermo, 26.3.2014, n. 892, sentenza, pres. D’Agostino, est. Cappellano).
1. Ordine pubblico e sicurezza pubblica – Informativa antimafia – Rilevanza dei rapporti parentali – Concorrenza di altre circostanze – Necessità.
2. Ordine pubblico e sicurezza pubblica – Informativa antimafia – Discrezionalità del prefetto – Controllo giurisdizionale – Impatto del provvedimento su diritti fondamentali – Necessità di un punto di equilibrio.
1. E’ insufficiente a giustificare l’interdittiva il semplice il rapporto di parentela tra il ricorrente ed altri soggetti ritenuti controindicati, senza che vengano indicate altre circostanze, quali una forma di cointeressenza, di comunanza di interessi, di frequentazione o comunque di contiguità, che, unendosi agli indicati rapporti di parentela, possano in concreto far dubitare di possibili condizionamenti mafiosi.
2. I provvedimenti considerati, che seguono a procedimenti privi delle garanzie del processo penale, limitano libertà altrettanto importanti della libertà personale quali il diritto al lavoro, inteso come libertà di scegliere il lavoro cui dedicarsi e ciò tanto nei confronti di chi ha inteso lavorare con le modalità dell’impresa quanto di chi all’interno dell’impresa svolge il proprio lavoro in forma subordinata. I provvedimenti interdittivi impattano quindi con diritti fondamentali che spettano a tutti, in quanto uomini, senza distinzione alcuna e producono a volte effetti devastanti di gran lunga più gravi delle sentenze penali. Se quindi da un lato va valorizzato il potere di prevenire, o troncare se già in corso, tentativi di infiltrazione mafiosa nel settore dell’imprenditoria (per arginare la grave piaga della delinquenza organizzata) dall’altro è necessaria la ricerca di un prudente punto di equilibrio per non svuotare di contenuto diritti ritenuti dalla stessa giurisprudenza amministrativa inalienabili, insopprimibili e incomprimibili.
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Nota
1. Sulla rilevanza dei rapporti parentali nella valutazione del rischio di condizionamento mafioso il Tar ha condiviso il punto di vista della Prefettura, tra l’altro perché parte ricorrente tenta di revocare in dubbio la natura di affiliato del genitore dell’attuale amministratore unico, sostenendo che non vi sarebbero elementi, per fare dichiarare alla Prefettura che detto soggetto sarebbe da ritenere “affiliato alla locale consorteria mafiosa denominata “Code Piatte”; ma la stretta contiguità al contesto mafioso dei parenti menzionati (zio e padre del predetto) risulta dagli atti processuali prodotti dalla p.a. (v. ordinanza di custodia cautelare n. 3950/2007 relativa all’operazione di polizia denominata “Kaos”).
Il CGA ha invece rilevato che anche con riferimento a tali circostanze l’unico elemento prospettato dall’Amministrazione è il rapporto di parentela tra il ricorrente ed altri soggetti ritenuti controindicati, senza che vengano indicate altre circostanze, quali una forma di cointeressenza, di comunanza di interessi, di frequentazione o comunque di contiguità, che, unendosi agli indicati rapporti di parentela, possano in concreto far dubitare di possibili condizionamenti mafiosi.
Del resto – prosegue il C.G.A. – un filone giurisprudenziale oggi prevalente, dal quale il Consiglio non ha ragione di dissentire, proprio con riferimento alla sussistenza di rapporti di parentela, coniugio o affinità con soggetti ritenuti in possibile contiguità con la malavita organizzata, ha ritenuto che la sussistenza di tali rapporti “non è sufficiente da sola a suffragare l’ipotesi della sussistenza di tentativi d’infiltrazione mafiosa, dovendosi quest’ultima basarsi, anche su altri elementi, sia pure indiziari, tali nel loro complesso da fornire obiettivo fondamento al giudizio di possibilità che l’attività di impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata…” (Cons. Stato, sez. III, 18.1.2013,n. 280 e già prima sez. III 23.2.2012 n. 1068; 12.11.2011 n. 5995 e 14.9.2011 n.5130).
2. Anche sul controllo delle valutazioni prefettizie le posizioni sono contrapposte.
Il Tar ha ritenuto che le valutazioni del Prefetto sulla rilevanza dei rapporti parentali fossero immuni da vizi, evidenziando che la contestazione del ricorrente, definita “labiale”, non tiene conto del fatto che, alle spalle accertamenti dell’amministrazione, c’è il lavoro di controllo capillare e costante del territorio, e di profonda conoscenza dello stesso, da parte delle Forze dell’Ordine.
Il C.G.A. sul punto ritiene invece che quelle valutazioni non siano indiscutibili. Prima dispone apposita istruttoria e, all’esito, annulla per difetto di istruttoria e di motivazione perché l’ampiezza dei poteri prefettizi di accertamento, che il Collegio ritiene quanto mai opportuna, non equivale ad assoluta libertà di valutare i fatti accertati, il cui apprezzamento deve essere esternato in termini di coerenza, senza salti logici o supposizioni non supportate da precise circostanze. Non bisogna trascurare che i provvedimenti considerati, che seguono a procedimenti privi delle garanzie del processo penale, limitano libertà altrettanto importanti della libertà personale quali il diritto al lavoro, inteso come libertà di scegliere il lavoro cui dedicarsi e ciò tanto nei confronti di chi ha inteso lavorare con le modalità dell’impresa quanto di chi all’interno dell’impresa svolge il proprio lavoro in forma subordinata. I provvedimenti interdittivi impattano quindi con diritti fondamentali che spettano a tutti, in quanto uomini, senza distinzione alcuna e producono a volte effetti devastanti di gran lunga più gravi delle sentenze penali. Se quindi da un lato va valorizzato il potere di prevenire, o troncare se già in corso, tentativi di infiltrazione mafiosa nel settore dell’imprenditoria (per arginare la grave piaga della delinquenza organizzata) dall’altro è necessaria la ricerca di un prudente punto di equilibrio per non svuotare di contenuto diritti ritenuti dalla stessa giurisprudenza amministrativa inalienabili, insopprimibili e incomprimibili. Applicando al caso all’esame del Collegio i suddetti principi era necessario che l’Amministrazione non supponesse o ipotizzasse il pericolo d’infiltrazione mafiosa oltre i dati accertati, ma procedesse ad oggettivi riscontri dell’asserito pericolo e restasse aderente ai medesimi (v. ancora sez. III, 280/13), mentre ha centrato le sue valutazioni sui rapporti di parentela, mentre l’unico elemento oggettivo utilizzato, la posizione del sig. S.A., è risultato inconsistente.
20-2015.10.02-n.-627-CGA-sent.
20-2015.02.25-n.-141-CGA-ord.-istr.
20-2014.03.26-n.-892-Tar-PA-sent.
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